La cosa che mi ha colpito di più in questo libro, scritto da Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa e presenza fissa a Che Tempo Che Fa, è che si tratta di un’autobiografia scritta quasi suo malgrado.
Come se nel cuore dell’autore ci fossero diverse storie ma questa, solo lei, dovesse in qualche modo uscire fuori, trovare più spazio, essere raccontata. Così comincia una narrazione scorrevole (nonostante le 209 pagine) ma molto intensa e sorprendente.
Il linguaggio accompagna il significato attraverso le pagine. Quasi come in uno spartito musicale, parte lieve e leggero per mano a un bambino solo, che non si dà pace per la morte della mamma ma conserva intatta l’incredibile lucidità a tratti comica tipica dei pupotti svegli. Coincidendo con la crescita del protagonista, le parole diventano via via più complesse e sofferte, sulla spalla di un adulto che ancora non ha superato quella perdita nonostante la vita sia andata avanti, a volte sopra di lui più che con lui.
I primi amori, il rapporto conflittuale con la figura paterna, i primi incarichi da giornalista: non sono che cornice al dramma interiore di una perdita che pare troppo complicata da superare.
Libro che consiglio, con una sola avvertenza: in certi punti si avvicina pericolosamente alla trascrizione di una conversazione con il terapista, quindi se non amate il genere introspettivo statene alla larga. Il finale è di quelli del tutto inaspettati. Si chiude il libro con la sensazione di aver capito tutto e poi di non aver capito più niente. Immagino che la vita, in fin dei conti, sia riassumibile proprio così.