A Torino cosa vuoi che ci sia da raccontare, solo migranti e Fiat. Non c’è niente di che da scoprire nella tradizione enogastronomica locale.
Forse è questa l’impressione che ha tratto della mia città il team di Unti e Bisunti 2, programma condotto da Chef Rubio in onda su Dmax.
Ho letto su Facebook diverse repliche astiose alla delusione dei torinesi di fronte alla puntata di lunedì scorso, ambientata a Torino per l’appunto, quindi facciamo subito una premessa: mezzo Mondo (voi lettori compresi) sa che sono reduce da un viaggio in Africa, proprio in Marocco.
Amo l’Africa per tutta una serie di ragioni e non starò qui a giustificarmi per le mie opinioni, ma sappiate che per tipologia di famiglia e di pensiero io di proclami razzisti e compagnia bella non ne ho mai fatti e non sto a sindacare su “Torino è la Casablanca d’Italia”. Certo potrei obiettare che, dopo averla vista, Casablanca è noiosa mentre Torino no, ma proseguiamo oltre.
Ho intervistato tempo fa Chef Rubio proprio per il blog e l’ho apprezzato: dalle sue parole e dalla conoscenza dei piatti tipici piemontesi mi dava l’idea di persona che capisce quanta storia ci sia, ancora poco conosciuta e da scoprire. Quanto sforzo fanno ogni giorno produttori e ristoratori per tenere viva la migliore tradizione. Quanto impegno, entusiasmo e investimento realtà come Riso Gli Aironi, COALVI, Il Frutto Permesso e molti altri piccoli locali ogni giorno mettano sul piatto.
E vi ho citato fin qui solo alcune delle belle realtà che si potrebbero elencare.
Domenica non ho visto niente di tutto questo. La puntata di Unti e Bisunti 2 di domenica scorsa? La Grande Delusione.
E non si tratta di Porta Palazzo, chè ci vado a far la spesa da quando avevo 5 anni e mio nonno era ancora vivo. No, non si tratta neanche dei patetici rapper messi lì per finta, come se a Torino, a San Salvario o all’università, li incontrassimo tutti i giorni.
No, è stato un sentimento di delusione per come è stata presentata una sola fetta della mia città – che invece di strati ne ha tanti e gusti ancor di più – e in modo così poco realistico. Constatare che se Torino – ed è vero – non ha nella sua tradizione enogastronomica rinomati cibi di strada, è stato scelto per rappresentarla un piatto, il tajine, che di strada proprio non è, anzi le famiglie marocchine lo consumano a casa, a cena.
Tra l’altro, qui si potrebbe aggiungere che in Marocco il tajine non si mangia in strada, men che meno coi passanti che ci pucciano allegramente le mani dentro. Ma passiamo oltre.
Quanti torinesi quando hanno un po’ fame pensano al tajine?
E quanti invece al kebab, al pita greco, al menu del Mac Bun, ai tranci di focaccia genovese o di pizza, ai gelati di Grom?
Ma soprattutto, chi ha mai visto, a Torino o in Piemonte che sia, sgranocchiare savoiardi in strada?
Le sole risposte a queste domande danno l’idea di come sia stata rappresentata un’intera città con una chiave culinaria distante anni luce dalla realtà vissuta, in passato come oggi.
Cos’è successo a Chef Rubio? Forse è entrato in qualche gastronomia e non sono stati abbastanza amichevoli? O forse bisognava dare alla città un’aura esotica anche se non le appartiene?
No, io penso che la risposta sia più semplice: mancanza di ricerca.
Bastava una semplice chiacchierata con un ventenne o un trentenne che vive, studia o lavora a Torino. E dire che il piatto forte di Unti e Bisunti è sempre stato il contatto umano, la leva del cibo come aggregatore di persone, la ricerca degli aspetti più veri di una città.
Qualsiasi italiano che abbia un computer e sia su Facebook può trovare moltissimi indirizzi di ristoranti di valore a Torino, posti che propongono menu squisiti tenendo vive tradizioni secolari. Qualsiasi Chef Rubio può andare in un paese più piccolo, un borgo, e scambiare due parole con donne anziane che ti fanno agnolotti da leccarsi anche i gomiti, non solo le dita delle mani. Bunet fatti in casa e bolliti e gianduiotti artigianali da morirci, da mangiare uno dietro l’altro peggio delle ciliegie. Fiere ed eventi dove si riscoprono prodotti della terra piemontese in via di estinzione. Si potevano interpellare le diverse e brave foodblogger locali (non io intendiamoci bene, ché cucino come mia nonna programma in 3D e non conosco la realtà food locale come la conosce La Gonzi, per dire) per capire chi declina la tradizione piemontese in modo nuovo, vero, apprezzato da tutti in passato come oggi, dai piemontesi come dai turisti.
Non è stato fatto nulla di tutto questo. Peccato per il programma e per Torino. Nel dubbio, mi risparmio altre possibile sòle e per le prossime puntate di Unti 2 beh… grazie, passo.
Capisco il rammarico, puntata sbagliata che non rappresenta Torino e i torinesi, senza nulla togliere al magnifico tajine. E’ anche vero che per trovare i piatti tipici piemontesi bisogna sbattersi un pò, ma non più di tanto. Se poi cerchi i piatti mangiati per strada qui diventa più difficile, visto il clima non sempre ottimale, si preferisce degustare all’interno dei locali comodamente seduti, siamo o non siamo bugia nen? Chiudo con il dire che forse con la cioccolata, i gianduiotti si poteva dire qualcosa di tipico, certo la bagna cauda, gli agnolotti, due pourun non ce li toglie nessuno …
A me non sembrano parole di Rubio queste… Poi puo’ darsi che mi sbaglio.. Boooh.