Lei è una donna istruita, ha un lavoro, una normale famiglia come tante. È grintosa, intelligente, cerca di far quadrare tutto al meglio delle proprie possibilità. Eppure, la ascolto inveire contro le quote rosa e i premi che l’azienda per cui lavora ha deciso di affidare ad una percentuale di dipendenti donne ogni tot dipendenti uomini. Dice che secondo lei le quote rosa aprono le porte all’amichettismo e alle raccomandate messe lì a caso. Dice che è ingiusto dare premi alle persone solo perché donne. E io, allibita, non riesco a dire un bel niente.
Sono furiosa. Furiosa perché non ho saputo rispondere nulla. Furiosa perché troppe donne ancora non sono consapevoli di quanto, per sesso di nascita, educazione e contesto sociale, noi italiane nasciamo già appesantite. E quel peso non possiamo ignorarlo. Non lo vediamo? Quando, dopo 10 ore di lavoro, siamo ancora le uniche a dover fare lavoro di cura dei figli piccoli, cucinare, pulire, ricordare, organizzare, accompagnare. Non lo vediamo quel lavoro? Non vediamo che quel lavoro, quel peso, ci fa partire già 100 metri indietro ai blocchi di partenza del mercato del lavoro? Perché non riusciamo a darci il permesso di dire a voce alta che le quote rosa, in qualsiasi settore, riequilibrano (almeno in parte) il gap di genere e ci ripagano (ancora troppo poco) del lavoro gratuito sul quale si basano mercati, famiglie e carriere lavorative degli uomini? Dannazione, sono furiosa.
Tornata a casa, leggo una frase sul profilo Instagram della Libreria Nora Book & Coffee. Dice Anche il lavoro interiore è attivismo. Ecco. Io per tutte le donne, per tutti gli 8 Marzo da qui a per sempre voglio questo: il lavoro interiore, l’autocoscienza come amava definirla Carla Lonzi. Perché le manifestazioni e l’attivismo pubblico e politico sono fondamentali, ma se manca la sicurezza in noi stesse e la consapevolezza di ciò che portiamo al mercato e nelle famiglie allora si può manifestare finché si vuole ma mancano le basi. E da quelle bisogna ripartire, prima di subito.
Abbiamo il dovere e il diritto di palesare il nostro valore. Dobbiamo darci il permesso di essere delle vere bastarde, che si prendono quel che spetta loro senza preoccuparsi sempre di essere giuste, essere corrette, essere eque. Diventa necessario smettere di essere brave bambine, perché quel brave va a vantaggio di tutti tranne che di noi stesse. Importa a qualche collega là fuori di essere giusto nei nostri confronti? Sulle chat del calcetto secondo voi si parla di quella collega che meriterebbe tantissimo il premio di produzione? Sapete che le conquiste per i diritti delle donne sono frutto di battaglie, di donne che hanno lanciato sassi o sono state arrestate? Da quando in qua in Italia, Paese nel quale i fatti dimostrano che a nessuno importa un fico secco dei diritti delle donne, pensiamo sia utile attendere che qualche mente eccelsa dall’alto butti qualche briciola e un sorriso benevolo? Quel dannato premio di produzione ci spetta, anzi dovrebbe essere più cospicuo, frequente e allargato a tutte le impiegate. Dovrebbero baciarci le chiappe per tutto quel che facciamo ma noi no, noi dobbiamo essere giuste. Corrette. Eque.
Questo 8 Marzo lo passo incredula e furibonda.
Auguro a tutte noi autocoscienza, bastardaggine e soldi da farcisi il bagno in mezzo.